Figure esagonali composte da esagoni regolari.

Il forum di Base5, dove è possibile postare problemi, quiz, indovinelli, rompicapo, enigmi e quant'altro riguardi la matematica ricreativa e oltre.

Moderatori: Gianfranco, Bruno

Rispondi
mariaangelone
Livello 4
Livello 4
Messaggi: 150
Iscritto il: mar apr 07, 2020 8:33 pm

Re: Figure esagonali composte da esagoni regolari.

Messaggio da mariaangelone »

carissimi, buona sera a tutti. sono ancora viva e sono tornata da voi( almeno spero) Che bello!
Inserirmi di nuovo nel sito è stato non complicato ma più di complicato, direi complicatissimo, forse avrei fatto prima a scalare l'evrest, forse, o forse no? Bah!
non mi venivano riconosciute le password, il nome utente, e tutte quelle cose che chiedono quando uno tenta di comunicare, a un certo momento mi hanno chiesto pure quanti centimetri sono 11 metri, tutto questo per riprendere i contatti con voi. Va be, ridiamoci sopra.
Stasera vi mando solo questo rapido mess di servizio, sperando che qualcuno di voi si ricorda di me. a proposito il mio nome è mariolina, e sono quella degli ...esagoni e delle cose un po' bislacche. bene amici fatemi sapere se posso di nuovo contattarvi senza arrecarvi noia. siete tutti gradevolissimi. un saluto speciale a Bruno, Pasquale, admin, gianfranco, e a tutti gli altri, domani continuo la lista dei simpaticoni
grazie a tutti, ci sentiamo presto mar

mariaangelone
Livello 4
Livello 4
Messaggi: 150
Iscritto il: mar apr 07, 2020 8:33 pm

Re: Figure esagonali composte da esagoni regolari.

Messaggio da mariaangelone »

Dalla danza degli esagoni, al concetto di infinito nel tempo.

Serpeggiando nella rivoluzione di Cantor,
si ritorna indietro fino agli Esa.


Se voglio far danzare i miei esagoni su una pista da ballo di un cielo infinito, se voglio trasmettere la sensazione di libertà che loro sprigionano, se voglio dare un’anima a queste figure, riempirle di colore, di movimento, di azione, perché dovrei disegnare io una nuova danza, che non potrebbe essere mai bella come quella di Matisse? Perché quella dell’artista francese ormai non è più reale, appartiene all’immaginario, ha superato se stessa: non è più né bella, né brutta, è La danse di Matisse. Quando un osservatore la guarda, non vede più cose, oggetti, colori, linee, perché lui e La danse sono la stessa cosa, un’unica immensa suggestione; La danse è una forza che prorompe dall’interno dello spettatore, non un’emozione aggiunta. C’è un motivo per cui dovrei far danzare i miei bellissimi esagoni su una logora balera, quando a mia disposizione ho la pista di ballo più bella del mondo? Se La danse di Matisse è tutta protesa ad illustrare una danza, sia pure simbolica o trasfigurata, se vuole condurre lo spettatore ad indugiare in quella lieve linea di confine che si frappone tra cielo e terra, perché mai dovrei optare per una diversa cornice? La danza di Matisse, intendiamoci bene su questo punto, non è che la cornice di un nuovo quadro, il mio quadro, che allontanandosi da quello dell’artista francese, non vuole indugiare su un ondeggiamento di corpi ma vuole mettere in rilievo la danza come atto sospeso tra l’essere e il non essere delle cose, servendosi di questa per portare lo spettatore a riflettere che il lento fluttuare di queste figure geometriche viene eseguito da creature che in fondo non esistono, perché non c’è nessuno spazio dell’universo che è riempito da questi esagoni, nessun angolo che li accoglie, loro semplicemente non sono.
C’è qualcuno per caso che ha visto l’esa 61 trio (10, 6, 1) prendere il sole a Capri o intrattenersi nella costellazione di Andromeda? Certamente no, perché questo esa, riempito di tanti piccoli esagoni, non occupa uno spazio reale ma come il numero e ogni ente geometrico, è frutto della mia mente, esiste solo nel mio spirito ed esistendo in me io posso dire che è reale a tutti gli effetti, posso dedicargli un’opera, posso farlo danzare tra gli altri ballerini di Matisse, posso apprendere da lui che non c’è libertà senza il rispetto delle leggi, morali o giuridiche, perché soltanto osservando delle regole interne a loro stessi, questi esagoni possono cantare il loro inno di libertà, possono formare una figura perfetta, senza macchie né errori, una figura che è nata per avere quella forma. Una combinazione di colori che non si sviluppa per una serie indefinita di tentativi casuali. Quella precisa forma è data loro da un soggetto che, in piena libertà, ha assegnato lo statuto ontologico di essere a cose che non sono e l’ha fatto in osservanza ad un principio di necessità, perché la sovranità di questi esagoni si esplica in una libertà intesa in senso spinoziano, che è tutta nella consapevolezza della necessità, quella di dover ubbidire a determinate regole. A limitare la libertà è, infatti, solo l’arbitrio ed il capriccio, mai la necessità, diceva il grande Spinoza. “Lo spirito libero ama ciò che è necessario” sarà poi la lezione che apprenderemo più tardi da Albert Camus. Pensare alla libertà di questi esagoni ti fa scivolare lievemente verso la bellezza, e attraverso la bellezza che sprigionano sei portato a riflettere sulla forza misteriosa che governa la geometria di queste figure. Ti colpisce l’armonia e dietro l’aspetto di armonia e di ordine, senti vibrare l’eleganza della simmetria, la vedi che danza, che si libra in aria, che muove i suoi passi al ritmo soave di un valzer di Strauss.
So che anche questa volta qualunque matematico che si rispetti rimarrà inorridito per le mie parole, potendomi contestare immediatamente che questi esa, se colorati, non hanno nulla ma proprio nulla a che vedere con la simmetria. Lo so. So anche questo. I miei esagoni colorati non sono invarianti davanti a tutte le possibili trasformazioni, non essendo figure dotate di proprietà simmetriche. So bene che il concetto matematico di simmetria non appartiene al loro essere. Ma il mio concetto di simmetria, anche in questo caso, non è ascrivibile al dominio della matematica, o meglio, se l’espressione mi è consentita, non se ne dolgano i matematici, s’inquadra piuttosto nella sfera, per così dire, di una metamatematica, che vede sovvertite le regole della matematica ordinaria da cui prende le distanze. Quanto mi piacerebbe se, un giorno futuro, un matematico scoprisse un altro concetto di simmetria adattabile a queste figure, che avesse cioè la capacità di trasferire in termini matematici ciò che io avverto prepotentemente con la voce del cuore. Perché queste figure per me sono dotate di un’avvincente simmetria e nessun uomo di scienza potrà convincermi del contrario, malgrado tutte le possibili, tangibili prove razionali che possono essere addotte a confutazione di questa mia teoria, pur balorda per gli altri ma che io sento perfetta. E allora, per piacere, avvicinatevi un attimo agli esa come ho fatto io e vedrete quanta bellezza, quanta armonia, quanto equilibrio si nasconde tra i loro multiformi colori. Sapete quanti esagoni in tutto contengono i primi dieci esa, dall’ordine uno all’ordine dieci, cioè gli esa 1, 7, 19, 36, 61, 91, 127, 169, 217, e 271? Esattamente 1000 esagoni, né uno più, né uno meno. Non so a voi, ma a me sembra una cosa semplicemente meravigliosa! Soffermatevi sul fatto che il numero complessivo degli esagoni che
compone un esa sottratto di un’unità, per qualunque esa di qualunque ordine, è sempre divisibile per il numero dell’ordine ed anche per il numero dell’ordine sottratto di un’unità. Vedrete che mi darete ragione, sentirete in quel momento di gustare, come è accaduto per me, il cibo degli dei. Ci sono una miriade di proprietà strabilianti come queste che governano il mondo degli esa e che danno adito ad azzardare delle ipotesi, a formulare delle congetture, a spingersi a trovare le condizioni per cui, per ognuna di queste figure, comunque sia grande, abbia una soluzione, tale che i colori degli esagoni compaiano una sola volta in tutti i 6 allineamenti definiti. Pensate a questa cosa e proiettatela all’infinito, chiudete gli occhi, abbandonatevi al silenzio e vi accorgerete presto di essere presi dalle vertigini. In quel momento vi verranno a mente, come è accaduto a me, le parole di Stendhal: “Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati.” Proprio come se questi esagoni fossero una vera opera d’arte creata da un dio che sovrintende all’universo dei numeri e degli enti geometrici. Potremmo allora ipotizzare che i corpi dei ballerini sono nudi e monocromi perché aspettano di vestirsi con l’abito della festa che ha il colore degli esagoni: sono stati loro a chiamarli, a chiamarmi e ad invitare anche il grande Cantor a partecipare con loro alla danza.
Georg Cantor è il matematico dell’infinito e l’inventore della teoria degli insiemi. E’ stato lui che dopo duemila anni di storia ha cambiato il nostro concetto di infinito e lo ha legittimato dal punto di vista matematico.
Per poter meglio spiegare al lettore com’è che io abbia pensato ad elaborare l’ opera La danza degli esagoni associando il nome di un geniale matematico ad una cosa frivola qual è una danza, è opportuno che io ritorni indietro nel tempo ed accenni, sia pure in modo molto rapido e approssimativo, all’excursus storico del concetto di infinito, al fine di poter inquadrare la posizione del grande matematico tedesco nel contesto di questa parola.
Anzitutto va rilevato che la nostra idea di infinito rifacendosi all’idea di creazione, e quindi di un principio e di una fine, diversifica dal pensiero orientale che non attribuendo alle cose uno stato di inizio e uno stato di fine, né temporale, né spaziale, ha accettato da sempre con maggiore serenità questa parola inserendola nel suo contesto umano e culturale.
Il concetto di infinito per il pensiero occidentale investe la relazione del continuo e discreto che è stato sempre un problema di grande complessità. Continuo vuol dire ciò che esclude tanto l’interruzione o divisione quanto la ripetizione identica degli elementi che lo compongono, mentre il discreto al contrario, è ciò che è discontinuo, un’entità discreta è quindi un’entità dai confini ben definibili.
L’idea della continuità, se dal punto di vista dei numeri fu accettata abbastanza disinvoltamente, dal momento che la matematica si basa su un sistema infinito di numeri reali e quindi continuo, sotto il profilo dello spazio, creava una moltitudine di problemi di complessa risoluzione. La retta, il segmento, fu interpretata quasi unanimemente dai pensatori dell’antichità come un continuo geometrico. Il discreto, agli albori della conoscenza, rimase infatti sempre una questione avulsa dalla speculazione del pensiero occidentale.
Il pitagorismo aveva tentato di descrivere il continuo geometricamente con l’idea che un segmento fosse composto di minuscoli enti indivisibili, fatto di logoi misurabili, e quindi il rapporto di due segmenti, in quanto rapporto di naturali, doveva essere un numero razionale.
La scoperta dell’incommensurabilità, fatta dagli stessi pitagorici, portò sfortunatamente per Pitagora, alla determinazione che il finito non era più in grado di descrivere il continuo, e di conseguenza il continuo veniva ad essere monco di qualcosa, aprendo così al pensiero, pur se di striscio, una fessura verso l’infinito.
Molti altri filosofi greci a cominciare da Anassimandro, Anassagora, Eraclito, Parmenide e poi Zenone sconfinarono in questo campo minato, dando però al problema risposte assai diverse tra loro. In ogni caso, qualunque fosse il loro orientamento, il punto di partenza era costituito sempre dall’accettazione del continuo. Anassimandro che definì per la prima volta l’infinito con il termine di Apeiron sostenne l’infinita divisibilità di un segmento, essendo questo costituito da un insieme potenzialmente infinito di punti. Parmenide sostenne che l’universo non è dinamico ma statico, e che l’essere essendo unico è indivisibile. Zenone, sulle orme di Parmenide, ed in sua difesa, contesta l’infinita divisibilità di un segmento, sia il pensiero pitagorico che con la scoperta degli irrazionali aveva dovuto concepire il punto come un ente ideale senza dimensioni. Argomenta Zenone che se il punto non ha grandezza, è impossibile che infiniti punti, cioè infinite assenze di grandezza, possano formare un segmento, cioè una grandezza.
L’unico tra questi filosofi che si distacca dal concetto di continuo è Democrito, che come ci ricorda Dante, fu colui che il mondo a caso pone. Democrito al contrario degli altri, per la prima volta discretezza la materia, e ci parla di tasselli piccolissimi di cui questa è composta. La sua idea è che l’universo sia discreto e quindi numerabile, fatto di corpuscoli. Purtroppo il suo pensiero non ebbe validi sostenitori, per cui le sue teorie che precorrevano con grande genialità gli orientamenti della fisica moderna, non ebbero né il consenso, né il giusto seguito che meritavano.
Aristotele cercò di mettere ordine tra i vari orientamenti filosofici, e formulò una teoria sull’infinito destinata a dominare la scena per quasi ventitrè secoli, e che stabiliva una netta differenziazione tra l’infinito in atto e l’infinito in potenza.
Per Aristotele, che partiva dall’assioma euclideo che la parte è minore del tutto, l’infinito esiste solo come potenzialità, non può esistere in atto, è quindi pura virtualità: l'infinito esiste, non può essere raggiunto e non ammette nessun aldilà. La sua esistenza, tuttavia, impedisce di attribuire un limite finito allo spazio, che viene invece pensato come dotato di un limite che si può allontanare all'infinito. Si può tendere verso l'infinito ma non è possibile raggiungerlo. Si tratta dunque di un infinito pensato come un finito in espansione non limitata. L’idea aristotelica trovava anche avversari sostenitori dell’esistenza dell’infinito in atto. D’altra parte il problema, pur rimanendo sempre aperto, perché l'infinito così concepito portava a gravissime contraddizioni, come per esempio il fatto che l’infinito in atto, essendo un numero, veniva ad essere contemporaneamente pari e dispari, divisibile e indivisibile, non trovò mai pensatori che contrastassero in modo deciso le argomentazioni di Aristotele.
Alla metà del quindicesimo secolo, il concetto di infinito matematico inizia a fare nuovamente capolino nella speculazione occidentale con Nicola Cusano che lo affrontò in maniera nuova. Cusano sostenne che la coincidenza degli opposti, in opposizione alla logica del finito che non potrà mai far sua questa tesi, trova una sua naturale dimensione in un infinito matematico.
Nel secolo successivo Giordano Bruno potenziò la struttura filosofica di questo pensiero, e per la prima volta nella nostra storia si affaccia l’idea che sia possibile avere due o più infiniti, addirittura una teoria di mondi infiniti, così ardita e rivoluzionaria da non poter essere tollerata dalla chiesa, e che costituì il perno attorno a cui si mosse il processo accusatorio che portò il grande nolano al rogo.
Con Galileo entra in scena un nuova impostazione del problema. Galileo ha il grande merito di aver capito che l’infinito in atto messo al bando da Aristotele, non può non essere pensato, ed il segmento non è altro che una sua manifestazione. Galilei si rese subito conto però di nuovi paradossi dell’infinito attuale, consistenti nel fatto che venivano a crearsi infiniti attuali uguali alle rispettive parti, il che contrastava con l’assioma euclideo che la parte è minore del tutto.
Anche Leibniz e Newton successivamente incominciarono ad indagare su queste problematiche ma purtroppo le loro ricerche ebbero una battuta d’arresto sotto le insistenti veemenze della chiesa, che non permise lo sviluppo e la diffusione dei loro pensieri.
Sostanzialmente dal periodo greco all’inizio dell’ottocento, nessun pensatore per quanto abbia contribuito all’evoluzione del concetto, non è mai giunto ad un sistema che giustificasse e desse piena concretezza all’ infinito matematico.
La rivoluzione di questo concetto arrivò solo alla fine del secolo diciannovesimo, grazie appunto a Georg Cantor che legittimò l’infinito come concetto matematico. Se oggi parliamo in maniera attuale di infinito e di infinitesimo, come se esistessero veramente, lo dobbiamo a lui. La grandezza di Cantor fu proprio quella di aver attuato il passaggio tra infinito potenziale e quello attuale, che non era riuscito a nessun pensatore precedente.
Cantor si rese conto della portata delle sue scoperte e capì che il concetto di infinito che egli proponeva poteva intaccare i cardini della fede. Nato ebraico e battezzato cattolico, decise di recarsi in vaticano per sottoporre i suoi lavori al giudizio dei cardinali. Dopo circa due anni il collegio degli studiosi preposti all’esame degl’incartamenti, dette giudizio favorevole ma al contempo suggerì a Cantor di non chiamare gl’infiniti con questo nome, adducendo il motivo che non era corretto dal punto di vista teologico appropriarsi di un termine che si addiceva solo alla divinità
Cantor chiamò allora questi numeri transfiniti, i quali successivamente per ironia della sorte presero il nome proprio di cardinali, in ricordo di quest’episodio.
Cantor descrive una straordinaria catena di mondi possibili, quel giardino di cui parlava Hilbert, costruito da lui per noi e da cui nessuno potrà più scacciarci. Il concetto d’infinito proposto da Cantor è uno dei più inquietanti e misteriosi di tutta la

matematica, perché accanto alle nuove prospettive che si aprono, appaiono tutte le stranezze, i paradossi di questa nuova visione delle cose e che saranno, successivamente grazie a Gödel, artefici di una vera e propria svolta della matematica. La scoperta di Dedekind che un insieme infinito consiste nel fatto di essere equipotente ad una sua parte propria, portò Cantor a risolvere i paradossi dell’infinito attuale che avevano bloccato Galilei. La sua grande intuizione fu proprio quella di perfezionare i concetti di Dedekind circa l’equipotenza. Cantor intuì che stabilendo una corrispondenza biunivoca tra l’insieme ed una sua parte, si realizza l’infinito attuale in quanto un insieme infinito viene ad essere uguale, cioè equipotente ad una sua parte. L’ infinito numerabile, cioè discreto, diventava, grazie a Cantor, una felice conquista del pensiero umano.
Da questa considerazione discende che i numeri pari sono tanti quanti i numeri naturali, un segmento ha tanti punti quanti una retta ed anche quanti tutto il piano, i numeri reali non sono tanti quanti i numeri interi. Ma le sorprese non finiscono qui. L’infinito numerabile, discreto, non è l’unico infinito. Le frazioni, non sono più dei numeri interi. Non è quindi possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra i numeri reali e i numeri interi. Su una retta ci sono più punti che numeri interi per indicarli. Da un infinito discreto si passa così ad un infinito continuo. Eppure, in un qualunque piccolo segmento ci sono altrettanti punti che in tutta la retta, un grande enigma che porta Cantor alla considerazione che ci sia nell’universo una "forza prodigiosa del continuo".
La domanda che si pone a questo punto è se al di là del continuo e del discreto ci siano altri infiniti. Cantor ci dice di sì. Dato un insieme infinito, si può sempre costruire un insieme di un infinito superiore, una serie illimitata di infiniti. L’idea di infiniti infiniti porta Cantor a muoversi su quel sottile confine in cui la matematica sconfina nella filosofia, o addirittura nella teologia. Ed è proprio lungo questa linea di confine che Cantor vede la profonda libertà della matematica, perché la matematica è la sola scienza, egli dice, non limitata dal fatto che la teoria debba essere corrispondente al mondo fisico. L’unico vincolo cui un matematico deve sottostare è che, quando trova un teorema, questo sia vero.
Quando mi sono avvicinata a questi concetti densi di mistero e di inquietudini e che travalicano lo stesso campo matematico, sono rimasta assorta in una molteplicità di pensieri, e di difficili interrogativi destinati a porsi come riflessioni senza risposta. La realtà in cui abitiamo, in contrapposizione all’universo continuo degli antichi, è vista dalla fisica moderna come un universo discreto, fatto di parti discontinue e numerabili. Siamo venuti a conoscenza che non esiste più l’atomo come particella indivisibile. All’orizzonte della conoscenza si sono posti gli elettroni, i neutroni, i quark, di recente le superstringhe, le reti di spin. Ma cosa sono queste minuscole particelle, gli atomi di Democrito, gl’indivisibili ultimi, fin dove è possibile, io mi sono chiesta, indagare, sezionare scomporre, andare a ritroso nell’essenza della materia? Qual è il limite ultimo imposto all’uomo, alla scienza? Ci sarà, esiste come possibilità, è una realtà, riusciremo mai a raccordare l’universo continuo relativistico, con l’universo discontinuo quantistico? Cosa c’è dietro tutto questo, cosa si nasconde tra un punto e un altro, cosa c’è in questo vuoto, o se è pieno, di cosa è riempito? Tra gl’infiniti logoi dello spazio e del tempo del nostro universo, cosa si frappone, forse un alogoi formato da infiniti alogoi , un universo di materia, di parole, di vuoti, di attimi reali o immaginari, in cui ognuno di questi dà luogo ad infiniti multipli di sé, eppure irripetibili, come nella visione di Cantor, una clonazione incessante di infiniti, di cui ognuno è centro a se stesso, e che si raccordano tutti nella potenza e nell’atto del nostro pensiero? Esiste un limite discreto alla nostra esplorazione della realtà, e se esiste qual è, la nostra mente potrà mai capirlo, o superarlo?
Io esco per la strada, in testa ho i miei problemi, penso, e intanto guardo le auto che si muovono, una signora entra in una macelleria, un’altra saluta un amica, un signore compra un giornale, sul giornale compaiono notizie, tante notizie. Una mamma spinge una carrozzina, il bimbo piange, e mentre lui piange io penso alla spesa da fare, a quello che mi manca in casa. Devo cucinare, comprare il pane la pasta e l’olio. Il pane è fatto di grano e il grano mi fa ricordare la faccia di un contadino che vidi quel giorno in aperta campagna fermandomi con la macchina. Avevo il mal d’auto, scesi, vidi il sole cocente, e la faccia rugosa del contadino che mi salutava. Ma mentre davanti agli occhi del cuore ho queste immagini, vedo davanti a me altre immagini, quelle dello spazio e del tempo in cui oggi mi muovo, con gli occhi del corpo, quelle della strada e del bambino che piange. C’è un infinito di immagini tra un’immagine e un’altra, un infinito di attimi tra un attimo e un altro. Ma questi infiniti sono numerabili uno per uno: il bambino piange, butta per terra il gelato che ha in mano, si sporca. La mamma apre la borsa e prende un fazzoletto. La borsa è di pelle, la pelle di un animale, quell’animale brucava l’erba, l’erba vive di acqua, l’acqua viene dal cielo. Lasciamo allora l’acqua e torniamo al fazzoletto. Il fazzoletto è di bianco cotone, il bianco mi ricorda la neve, come fu bella quella gita, quando feci quel giorno quel buffo pupazzo. Il cotone mi ricorda la guerra, quella fatta in America, e davanti ai miei occhi scorrono le sequenze di un vecchi film, i vestiti dell’ottocento, pieni di trine e merletti, ma di merletti non c’è solo quello della bella Rossella, c’è un altro merletto,o meglio, infiniti altri merletti. Tra tutti scelgo quello di koch, non meno bello dell’altro, di tutti altri. Questo merletto, la curva frattale di Koch, mi fa venire in mente la matematica, la matematica mi riporta a Cantor, e Cantor al problema dell’infinito, anzi degli insiemi infiniti. Ognuno di questi passaggi contiene un insieme infinito di cose, di ricordi, di particelle di materia e di pensiero, non è possibile per me isolare gli eventi uno per uno, numerarli uno per uno; questo lo può fare solo la matematica.
Eppure io voglio viverli, identificarli e farli vivere uno per uno. Come fare? Sono troppi, infiniti, ne prendo uno, e ne scappa un altro, o meglio più che scappare ogni evento esplode in un altro. Bisogna allora allontanarli dal regno della materia, farli diventare onde che fluttuano nello spazio.
Soltanto così posso far vivere, uno per uno, i segmenti di una retta infinita nella danza voluttuosa dei miei pensieri.
E allora comincio a farli ballare, questi ritagli di vita e di ombre, tutti insieme in un girotondo di musica e di passi di danza. Una danza circolare dove ogni cosa, ogni particella piccolissima se pur infinita, è una, perché ogni porzione di immagine è la danza stessa, il movimento armonioso, sinuoso, dello spazio, dei sogni e del tempo infinito. Ogni figura, ogni colore che mi è davanti mi parla degli infiniti di Cantor, ognuno di loro, è uno dei suoi infiniti.
Avrei voluto conoscere questo distinto signore, avrei voluto parlargli, ma lui parla il tedesco, cosa ci saremmo potuti dire, se noi due parliamo due infiniti diversi, e viviamo storie diverse?
La danza sarebbe stata la musica del nostro linguaggio, gli esagoni il suono delle nostre parole. Tutti insieme, uniti con Matisse in un girotondo infinito, e nel vortice della danza io avrei visto questi minuscoli esagoni diventare sempre più piccoli fino a far scomparire il poligono che li ha disegnati uno per uno, e che li avrebbe dispersi ed uniti nel cerchio infinito che li racchiude.
La visione di questa danza, fatta assieme a Cantor, a Matisse e ai miei difficili esagoni, veniva da me avvertita come una danza assoluta di libertà. Era una sensazione nuova, liberatoria, ricca di ossigeno. Per la prima volta sentivo dentro, capivo veramente cosa volesse dire Cantor quando diceva : “L’essenza della matematica risiede nella sua libertà.”
Sembra un paradosso e forse lo è agli occhi di tutti noi, che siamo abituati a pensare alla matematica come ad una scienza esatta, al regno delle regole ferree, a una terra in cui l’opinione non può avere diritto d’asilo. Basti pensare alla geometria euclidea e a quella non euclidea. E quest’ultima, non è forse il mondo della prima, visto e creato a partire da tutt’altro principio? Eppure, come è legittimo il primo mondo, quello euclideo, così è pienamente legittimo il secondo, quello non-euclideo.
Quando ho letto per la prima volta questo pensiero mi sono raggelata tutta. Sono concetti che denotano una profondità di pensiero eccezionale. Se queste stesse cose le avessi dette io si sarebbe certamente trattato, per riprendere l’espressione di Toth, di una boutade, ma dette da un grandissimo pensatore qual è lui, fanno riflettere tanto. Provi la sensazione di uno smarrimento che ti rivoluziona tutti i parametri dei tuoi riferimenti concettuali. Senti nel profondo del cuore che la matematica è un atto di libera creazione dello spirito umano, e cosa ancora più ardita, è lo sviluppo della coscienza della libertà. Avverti una lievitazione del tuo essere, come se stessi passando da una condizione umana ad una divina e in quel momento ti sembra di rassomigliare tanto al mitico Glauco quando gustò l’erba miracolosa, che, come ci dice Dante: “Il fé consorto in mar de li altri dei…”
Come dire che nel momento in cui ti accorgi che la libertà umana è la capacità di creare mondi alternativi, universi sempre nuovi di pensiero, sei assimilato agli dei dell’olimpo. I numeri immaginari non esistono, come non esiste Madame Bovary, eppure ciascuno di noi, nella piena libertà, può renderli reali e discutere dei numeri immaginari come può leggere il romanzo di Flaubert, o commuoversi davanti alla fiaba di Cenerentola. Il loro essere, la loro realtà, è nell’atto di creazione dello spirito che ha assegnato l’essere a cose che non ci sono, perché loro non sono, sono soltanto nella nostra mente, nella nostra libertà di scegliere di farle essere. Loro sono in quanto esistono perché sono saputi da un soggetto, da me che li penso, e pensandoli li determino.
Queste sono le considerazioni che mi hanno spinta, nell’opera La Danse des Hexagones, ad apporre in primo piano l’espressione di Cantor nella sua lingua originale, il tedesco. Ho voluto tradurla in tantissime lingue diverse, perché tutti potessero leggerla e farla propria, per meditare, per assaporare in silenzio il gusto di quelle parole, perché queste potessero scendere nel profondo dell’anima di ciascuno di noi ed aiutarci a capire che la matematica non si riduce alla logica ma è qualcosa di molto più grande, sconfina nella filosofia, forse nel mistico. Chi può dirlo con… matematica certezza?
Vorrei terminare con un’altra frase di Imre Toth, che ha fatto scuola e che dimora nel mio cuore con la leggerezza delle cose belle. Non saprei dedicare a La dance di Matisse e alla mia danza parole più toccanti: “Le sette stelle delle Pleiadi esistono anche se non esiste alcun astronomo che le conosce ma il numero sette non esiste e non può esistere prima e senza essere saputo da un soggetto, e il soggetto è sinonimo di libertà, e la sua libertà è il fondamento ontico del sapere matematico.”

Gli esa, anche se non sono, adesso esistono, ed esistono perché creati da uno spirito libero di determinarli.

mariaangelone
Livello 4
Livello 4
Messaggi: 150
Iscritto il: mar apr 07, 2020 8:33 pm

Re: Figure esagonali composte da esagoni regolari.

Messaggio da mariaangelone »

la foto dell'opera la danza degli esagoni . lo scritto di riferimento è quello postato qualche giorno fa



mi sembra che la foto dell'opera non sia stata inserita. forse ho dimenticato la maniera corretta di inserire immagini.
per piacere qualcuno può dirmi come si fa ? grazie

mariaangelone
Livello 4
Livello 4
Messaggi: 150
Iscritto il: mar apr 07, 2020 8:33 pm

Re: Figure esagonali composte da esagoni regolari.

Messaggio da mariaangelone »

Chi mi sa dire se la somma di due o più numeri esagonali centrati può formare un altro numero esagonale centrato? Grazie a tutti a presto. Mariolina

Gianfranco
Supervisore del sito
Supervisore del sito
Messaggi: 1707
Iscritto il: ven mag 20, 2005 9:51 pm
Località: Sestri Levante
Contatta:

Re: Figure esagonali composte da esagoni regolari.

Messaggio da Gianfranco »

Ciao Maria Angelone, è un piacere risentirti nel Forum!
Come va?
---
Questa discussione ha superato le 100.000 visualizzazioni e oggi ha 10 pagine, 138 risposte/commenti e più di 3 anni di età. Un vero RECORD!
---
Però diventa sempre più difficile trovare i validi problemi che hai proposto in questi 3 anni.
Siccome la tua domanda è interessante, ti suggerisco di creare un nuovo messaggio dedicato ad essa.
In questo modo è più facile individuala e risponderti.
In generale è meglio creare, nel forum, una nuova discussione per ogni nuova domanda (o poche domande).
---
Per ora non ho la risposta al tuo quesito sui numeri esagonali centrati.
Pace e bene a tutti.
Gianfranco

mariaangelone
Livello 4
Livello 4
Messaggi: 150
Iscritto il: mar apr 07, 2020 8:33 pm

Re: Figure esagonali composte da esagoni regolari.

Messaggio da mariaangelone »

caro gianfranco, felice giornata a te. grazie di avermi risposto e anche di avermi chiesto come sto.
sto bene grazie e spero lo stesso per te. ho notato che è circa un anno che non mi collegavo con voi, ma non perchè vi ho dimenticato. Avete dato tante belle risposte alle mie bislacche domande per tanto tempo e ve ne sono sempre grata. In seguito gli ultimi messaggi sono rimasti senza risposta. Allora ho pensato che vi eravate stancati di parlare con me, per la mia scarsità di conoscenze serie in campo matematico, e quindi trovando pienamente legittimo il vostro disinteresse nei miei riguardi, mi sono mio malgrado allontanata dal sito.In questo ultimo anno a parte le altre incombenze di vita ho realizzato un'altra bella sfornata di opere per dare forma estetica - diciamo un qualcosa di reale che si può vedere e toccare - , a diverse problematiche di natura filosofica umana e matematica.
Arriviamo ai giorni scorsi. Nel rivedere la mia opera fatta con mille esagoni, nel senso che ho rappresentato in modo artistico i primi dieci numeri esagonali centrati, mi sono chiesta se invece di dar vita a dieci sagome esagonali volessi fare un solo grande esagono che rappresenti non uno lla volta ma tutti insieme la somma dei primi dieci numeri esagonali, lo potrei fare? La risposta è stata subito no, perchè la somma dei primi dieci numeri esagonali centrati fa mille e mille per ovvie ragioni non può essere un numero esagonale centrato. Allora proviamo sommando insieme i successivi dieci numeri esagonali centrati dall'undicesimo al ventesimo, sarà possibile? manco pe niente.perchè la loro somma fa 7000. e così mi sono accorta che la somma di dieci numeri esagonali centrati in sequenza porta alla stessa cifra dei primi dieci numeri con l'aggiunta di tre zeri, sicchè il numero 7 diventa 7000, il successivo il 19, diventa 19000, il successivo ancora da 37 diventa 37000, e così di seguito. Così mi è venuta un'altra curiosità: Ma sarà poi possibile che un numero esagonale centrato può formarsi come somma di due o più numeri esagonali centrati? E qui che è cascato l'asino, perchè non sono riuscita a trovare uno di questi numeri come somma di altri numeri esagonali centrati. E allora che fare? Mi sono fatta coraggio e postato questa domanda sul vostro simpatico forum, e tu hai avuto l'amabilità di rispondermi
Accetto ben volentieri il tuo suggerimento di creare un discorso nuovo. Lo farò non appena avrò impostato bene la domanda, aggiungendo magari qualche curiosità collaterale.
Grazie ancora gianfranco, ti saluto augurando a te e a tutti gli amici del sito, tanta gioia di vita. a presto mariolina

Gianfranco
Supervisore del sito
Supervisore del sito
Messaggi: 1707
Iscritto il: ven mag 20, 2005 9:51 pm
Località: Sestri Levante
Contatta:

Re: Figure esagonali composte da esagoni regolari.

Messaggio da Gianfranco »

mariaangelone ha scritto:
gio nov 23, 2023 8:49 am
... ho pensato che vi eravate stancati di parlare con me, per la mia scarsità di conoscenze serie in campo matematico, e quindi trovando pienamente legittimo il vostro disinteresse nei miei riguardi, mi sono mio malgrado allontanata dal sito. In questo ultimo anno a parte le altre incombenze di vita ho realizzato un'altra bella sfornata di opere per dare forma estetica - diciamo un qualcosa di reale che si può vedere e toccare - , a diverse problematiche di natura filosofica umana e matematica.
Mi sono rivisto le 10 pagine lunghe e dense di questa discussione e ho ritrovato tante belle sorprese che mi ero perso o che non ricordavo bene. Molte di esse meritavano una pagina dedicata.
Non ci siamo stancati di parlare con te, credo invece che una discussione su molti argomenti finisce per diventare dispersiva ed è difficile rispondere seguendo i vari filoni. Inoltre gli argomenti proposti sono abbastanza difficili e qui nel Forum siamo pochi utenti attivi.
---
Per quel che riguarda la tua domanda sugli esagoni centrati, non devi elaborarla troppo. Come l'hai scritta è perfetta, così:
"Chi mi sa dire se la somma di due o più numeri esagonali centrati può formare un altro numero esagonale centrato? Grazie a tutti a presto. Mariolina"
Magari puoi ricordare la formula dell'n-esimo numero esagonale centrato:
H(n) = 3n(n+1)+1
---
Pace e bene a tutti.
Gianfranco

mariaangelone
Livello 4
Livello 4
Messaggi: 150
Iscritto il: mar apr 07, 2020 8:33 pm

Re: Figure esagonali composte da esagoni regolari.

Messaggio da mariaangelone »

caro giancarlo grazie tantissimo di essere in contatto con me. Ho accettato di buon grado il tuo suggerimento di inserire la domanda in un nuovo argomento, e se avrai la pazienza di dare uno sguardo al messaggio vedrai la risposta che ha dato mio fratello alla questione da me posta e mi darai un tuo parere. a proposito ho inserito anche un altro messaggio che ha a che fare con gli altri numeri poligonali centrati. verifiche da me fatte che potrebbero rivelarsi completamente errate, chi lo sa.
Va be, vedremo, alla fine, i matematici siete voi, io lavoro soltanto in ...sartoria per aggiungere un po di MAPS appeal al look della regina delle scienze.
ti sono grata per le attenzioni e il tempo dedicato alle mie bislacche domande . buona serata

Rispondi